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Journaux de travail

îles

Quando ti avvicini all’isola spesso hai l’impressione che sia lei ad avvicinarsi alla nave, come se navigasse.
Isole greche con alberi e vele, con remi e timoni, mulini a vento, legni e rottami spiaggiati.
Nel mito, la prima a smettere di errare fu Delo: “allora, ecco, quattro distinte colonne sorsero dal fondo del mare e con i capitelli sostennero su ferrei piedistalli la roccia” (Pindaro).
In questo mare greco, carico di dolcezza e di violenza (proprio a Delo Latona partorì Apollo) la bandiera porta disegnata una croce. Ma anche un albero di nave con il pennone ha la stessa forma.
Così finalmente ho dato voce a quei pezzi di puddinga raccolti tempo fa sul litorale di Klido’ a Nasso.
Bastava avere il coraggio delle cose essenziali: piccoli presepi marini che raccontano l’arcipelago delle isole erranti.

Patrizio Bedon
Diari di lavoro, Naxos, 3 luglio 2023

Tripodi Naviganti

Un tronco flottante divenne barca;
lo scalmo divenne forca;
Il remo divenne pala da forno;
la barca divenne tavolo;
il mare porto’ l’agricoltura;
Poseidone porto’ Demetra.

Patrizio Bedon
Diari di lavoro, Naxos, luglio 2019

Orologi

Penso al sogno impossibile di fermare il tempo e a chi ama troppo la vita, anche quando la spreca. Così, dall’universo dei materiali in consunzione nascono finti meccanismi che affidano alla nostalgia la favola dell’eternità. Orologi bloccati, inchiodati su ore sconosciute e illeggibili, forse quelle che segnano la fine del viaggio. Ma mentre lavoro sono preso dal gioco, e allora sorrido.

Patrizio Bedon
Cerro, 12 gennaio 2019

Macchine del tempo

Il tema del viaggio come metafora della vita e’ anche qui, come nelle mie navi. Queste macchine sono come giocattoli, e il gioco consiste nel trasportare ricordi sotto forma di frammenti dimenticati, pezzi di oggetti ormai consumati e destinati all’oblio.
Anche i ricordi sono spesso frammentati, e bisogna accontentarsi. Ma questo trasporto di frammenti – persone ha molto a che fare col teatro e anche col cinema. Penso al Carro di Tespi, che trasportava un multicolore e disordinato campionario di attori girovaghi, come girovago era anche Zampano’ nel film di Fellini (La Strada) su di uno sgangherato motocarro a tre ruote. Nel viaggio siamo tutti un po’ attori di uno spettacolo, con sospette o sconosciute regie.

Patrizio Bedon
Cerro, 13 gennaio 2019

Grattacieli

Ho ripercorso idealmente molte tappe dell’invasione ambientale umana.
Nel grattacielo ho riconosciuto una forte presenza simbolica di questa hybris sempre più dissennata.
Lì, dove la gravità percorre un filo di rame a piombo (forse, quasi…), si aggrappano memorie materiali minimali.
I polloni di nocciolo, che furono frecce neolitiche, diventano esili pilastri che sorreggono guglie di cattedrali, antenne, piramidi azteche.
Le palafitte sono cresciute a dismisura, con la fragilità e la malinconica poesia di un giocattolo abbandonato.

Patrizio Bedon
Cerro, marzo 2020

Paesaggi

Seconda nave di questa tarda primavera a Naxos. Da un cumulo di legname ai bordi di un paese nell’interno dell’isola sono emerse alcune torniture, che forse costituivano le ringhiere di un soppalco alla turca demolito. Sono diventate una carena di nave, bianche come l’albero piegato dal vento fino a mostrare le radici. Fantasmi bianchi, accomunati nel colore, che evocano epoche lontane, quando ancora si poteva parlare di paesaggio.
Il paesaggio. Equilibrio estetico e morale tra le opere dell’uomo e la natura selvaggia. Il bello e il buono, come dicevano i greci. Il paesaggio come luogo della misura, testimonianza del tempo in cui l’umanita’ non saccheggiava il pianeta come invece si fa oggi, sempre di più’, con sicuro istinto suicida.
E’ arrivata una nave carica di paesaggi.
Azalas, Naxos, fine maggio 2018.

Venti e carene

Penso a quanto sia presente e protagonista il vento nelle mie navi, tutte a vela, dove gli alberi sono piegati e quasi sradicati nel seguirne la direzione. Il vento ha una forza simbolica di immutabilità: esiste, immutato, da sempre. Questa illusione di eternità si scontra però con una visione forse più comune del vento come destino, come forza incontrollabile che travolge e porta via. Il vento come “sempre” e il vento come ‘non più’.
Ci sarebbe molto da dire sulle carene delle navi: parti nascoste che normalmente non si vedono se non nei cantieri dove si curano le navi ferite.
Ho sentito parlare di una nave che aveva inserita in carena una trave sacra proveniente da Dodona. Questa sacralità della trave riporta ancora ad una estensione del tempo, laddove il tronco d’albero, prima di essere trave, fu semplice imbarcazione di chissà quale uomo antichissimo. Ricompare l’albero, come archetipo, sul fondo della mia nave, e annulla una volta di più la linea di separazione tra terra e mare. Storie di carene, cose nascoste che normalmente non si vedono.
Naxos, 3 luglio 2018

Le stanze naviganti

L’ultima nave, con quel susseguirsi di cellette e finestrelle come stanze, evoca trasferimenti di popoli, sempre comunque attuali. Ma le stanze sono soprattutto ambiti individuali, luoghi di memorie, ricordi di case vere dove si è vissuto e lasciate chissà dove, forse per sempre. Talvolta però la nave smette di essere luogo di temporaneo tragitto in esodi drammatici e diventa residenza stabile, luogo di monastica tranquillità. La nave come casa, con tutte le sue quiete stanze. Gli opposti si incontrano.
Poi ci sono altre navi, specie di palazzi galleggianti per turisti voraci. Ma le mie navi non si incontrano mai con quelle.
Azalas, Naxos, Maggio 2018

Sulla scia delle mie navi

Sempre sulla scia delle mie navi, procedo tra dubbi di rotta e gioie di piccoli e fortunati approdi estetici. La prora, la poppa, l’alberatura, le vele, il fasciame, la carena, il timone, la polena: su questi elementi fisici costitutivi si innestano le costruzioni simboliche, si organizzano e si snodano i racconti attraverso ingrandimenti, riduzioni, allusioni, sovrapposizioni, confronti, sostituzioni, citazioni.
La polena indirizza la corsa, con volto di asino o becco di uccello. Forse un gabbiano, o un migratore: appesa a mezz’aria la nave sta davvero volando (ma anche gli asini volano, come sanno bene i bambini). Per lo più le polene avevano volto di donna, il volto del desiderio inappagato. Anche per questo le mie polene sono sempre più grandi. Una presenza isolata a poppa ricorda il navigatore solitario. Quello famoso, che però non ha un nome. Un chiodo, un niente, nessuno.
Il naufragio in perenne divenire senza mai concludersi e’ il motivo conduttore sempre presente nelle fiancate lacerate e nella prua spalancata dall’urto delle onde. Bocca di pesce affamato. Un vomere d’aratro a prua ricorda che thalassa non è solo mare, ma vuol dire anche pianura. Volos e’ in Tessaglia. Da lì partì Giasone con i suoi Argonauti per il primo viaggio avventuroso della storia lasciando il certo per l’incerto. Lasciando il grano della Tessaglia per cercare l’oro. Di nuovo mare e campagna si confondono. Da tempo l’albero maestro e’ un albero vero, ormai. Eroe solitario e molto piegato dal vento della storia, con radici che affondano disperatamente nella tolda. Una fila di denti a prua, una coda sfrangiata a poppa come timone:pesci e navi hanno destini che si incrociano e si sovrappongono. Le vele sono sempre più piccole, come se la nave procedesse d’inerzia per una specie di forza intrinseca, o del destino. Le carene vivono separate, stanno per conto loro : una separatezza che poi è la loro vera natura di vita sommersa. Le bitte sulle fiancate ricordano gli ormeggi dei porti. Come se la nave attendesse l’arrivo di un porto e non viceversa. Punti di vista; storie di viaggi e di approdi impossibili.
Naxos, Azalas, luglio 2016

Da una lirica greca

Mi sono chiesto spesso quali fossero le ragioni di questo mio attaccamento alla Grecia, così forte che mi ha spinto a comprare una casa lì e a trascorrervi una buona parte dell’anno. Forse la ragione più vera sta in una lirica che ci lesse al liceo il professore di greco, uno dei pochi professori di allora, se non l’unico, umanamente ricco e anche per questo culturalmente determinante. Era la descrizione minuta e semplice del rapporto inconsueto tra un uomo solitario e un topo. La descrizione di una piccola cosa quotidiana, della quale però non si fatica ad intuire la grandezza potenziale. Da allora, della Grecia mi ha sempre attratto l’aspetto minimalista, il radicamento all’essenziale dell’esistenza che consente di scoprire, nel piccolo, una chiave di comprensione simbolica, morale e affettiva del grande mistero dell’esistenza.
Ci sono ancora, non so quanto dureranno, angoli del mondo dove permane il rapporto armonico dell’umano con la natura. In questo senso, nel senso del paesaggio come lo si intendeva storicamente, la Grecia resta un esempio forte. Persino Atene, che è sempre stata una metropoli, fino a poco tempo fa conservava nei suoi cafenion un’atmosfera analoga a quella che si poteva cogliere nei villaggi agricoli. Questo sconfinamento della campagna nella città, che altrove era tramontato da tempo, la dice lunga sul senso profondo di una civiltà come quella greca, profondamente legata alla Madre Terra come elemento primario. Forse non è un caso che a Nasso, l’isola che ho scelto, in uno stupendo angolo interno di campagna, esista un tempio dedicato a Demetra. Prima di Fidia, prima e dopo Fidia il Partenone e Costantinopoli, sono esistiti i villaggi greci e la scansione quotidiana di un’esistenza non ancora suicida.
Credo che anche il mio fare artistico nasca proprio da qui, da questa Grecia minimale. Non dalla Grecia classica, dal Partenone o da Costantinopoli, non dalla idealizzazione di un popolo greco “speciale”. La mia è stata solo l’occasione di cogliere, da una semplice lirica, ciò che mie servito per essere quello che sono. Da una lirica greca.
Cerro, novembre 2016

Navires

Le navire est le symbole primaire du voyage. La vie est un voyage avec quelque naufrage.
C’est le naufrage lui-même qui transforme la matière, qui en désintègre les formes.
Quand on reconstruit il est évident qu’on ne renaît pas mais on continue avec courage son parcours en compagnie de tout ce fatras qu’on a connu et souffert dans le but de réinventer de petits morceaux de bois, des histoires minimales qu’on peut seulement deviner.
Mais quand elles sont rassemblées, elles se parlent, peut-être qu’elles se souviennent de toi, quand tu étais enfant et que tu faisais de petits navires avec la mie de pain. Il y a un caïque arborant à l’avant une cuillère.
On voyage pour connaître, on risque pour manger. On émigre. On colonise. Misérables ou argonautes, « cake walking babies from home » : un titre du jazz traditionnel que j’ai retrouvé idéalement, même sur une de mes machines du temps qui transporte une vieille cuillère de bois.
Mais ce goût de nourriture n’est pas celui du souvenir proustien ou de la bouffe vorace non plus. C’est seulement quelque chose de bon et de beau, hors du temps: le secret du navigateur sauvé des eaux.
Un navire chargé de pain vient d’arriver.
Naxos, le 18 mai 2012

Arbres

Il nous arrive de penser à l’histoire de certains arbres, nés dans les campagnes et dans les bois, qui changent de vie tout d’un coup et se trouvent à errer sans but sur l’océan, les voilà devenus mâts de navires: les navires d’antan. Ainsi que le paysan de l’arrière-pays qui se rend au port pour s’engager dans la marine avec sa caisse de pauvres objets, comme on peut le voir dans le parcours didactique sur la vie des marins au Musée naval de Barcelone. Des parcours parallèles bouleversant l’antithèse mer-campagne. C’est pour cela peut-être que les campagnes les plus belles sont tout près de la mer. De cette manière au grand mât et au beauprés ont poussés des branches et entretemps d’autres arbres sont nés sur le navire: sept, neuf, une forêt en navigation. Mais la vie s’arrête, après la dernière tempête. D’une épave s’appuyant au fond de la mer pousse un grand arbre avec toutes ses branches tendues où se posent les poissons.
Naxos, juin 2012

Roues

Le tour est une roue qui tourne. C’est la mère de toutes le roues. Roues de charrettes, de voitures, d’horloges. C’est une icone basilaire de toute la technologie humaine.
Elle marque le passage de la préhistoire à l’histoire, qui jusqu’a hier
signifiait travail agricole. Meme mes machines du temps ont les roues. Roues en bois, d’un simple jouet qui gardent des souvenirs, qui relient des mondes lointains et différents, passé et futur. Sans le savoir, c’est mon ancienne passion pour le tour, mère de toutes le rous, qui m’a conduit à travers ces parcours aventureux d’analogies et de nostalgies.
Cerro, 6 febbraio 2013

Chèvrettes

J’ai rassemblé un petit troupeau, des animaux qui semblent des jouets en bois, comme on en faisait autrefois. Ils grimpent sur les murs, peut-être pour s’échapper à l’abattoir ou peut-être encore, ce sont leurs âmes qui s’en vont.La souffrance des animaux est comme celle des enfants: un vieux jouet qui parle en silence. Naxos, juillet 2011